Di Iraq, oggi, si parla assai meno. L’agenda setting dei grandi media internazionali ha ormai mutato di rotta: l’escalation afghana, ma soprattutto la tremenda crisi economica che stringe in una morsa l’Occidente e la bruciante sensazione di fallimento (ossia di una mission tutt’altro che accomplished…) che accompagna ormai le sensazioni del pubblico sull’Iraq, soprattutto dopo le ultime elezioni, hanno condotto a un progressivo abbandono del tema. Dallo schermo scompare non solo la politica irachena con le sue contraddizioni: si offuscano progressivamente volti e paesaggi umani, quella società alle cui vicende e al cambiamento epocale che le attendeva, pure, i media di tutto il mondo ci avevano così lungamente appassionati. Cosa ne è dunque di quella società? Cosa ne è, oggi, di quel cambiamento? Larga parte dell’incomprensione occidentale del “mosaico Iraq” sembra fondarsi sull’assolutizzazione dell’elemento geopolitico da un lato e di quello culturale dall’altro: un paese dotato di “risorse strategiche ingentissime”, preda di un popolo animato da atavici risentimenti etnico-religiosi e/o tribali… Il saggio anticipa i contenuti di una ricerca condotta (in collaborazione con la ONG “Un ponte per…” nell’ambito di un finanziamento del Ministero degli Esteri italiano) dal gruppo URiT, coordinato dall’autore, poi pubblicati per esteso nel volume A. Petrillo (a cura di) Società civile in Iraq. Retoriche sullo scontro di civiltà: una ricerca sul campo (Mimesis, Milano 2011). L’indagine è stata condotta attraverso la somministrazione di questionari sul terreno e numerose interviste a testimoni privilegiati, protagonisti dell’associazionismo sindacale e di genere, delle organizzazioni studentesche e per i diritti umani. Malgrado gli ovvi limiti logistici (dovuti in gran parte all’essere costretti a operare all’interno di un territorio sostanzialmente ancora in stato di guerra, entro quadri locali politicamente instabili, con comunicazioni estremamente difficili e gravi rischi per la sicurezza personale) abbiano sicuramente condizionato il rigore metodologico del disegno di ricerca e in particolare la rappresentatività del campione e pur con tutta la cautela sicuramente necessaria in una ricerca a carattere esplorativo e non esplicativo, pur con tutti i limiti derivanti da dati non rappresentativi ma soltanto indicativi di possibili linee di tendenza, la ricerca costituisce quasi un unicum nel suo genere, sia a livello nazionale che a livello internazionale (sono in corso trattative editoriali per la sua traduzione in inglese). In una prospettiva di aperta contrapposizione allo schema “orientalista”, il pregio principale è quello di restituire un’immagine del tessuto associativo irakeno e di quello sociale più in generale del tutto diversa da quella, essenzializzata e semplificata, cui i media ci hanno largamente abituati, restituendo un volto concreto alla società locale, testandone i legami complessi con la cultura “globale” e con le dinamiche politiche proprie del dopoguerra e della resistenza all’occupazione.

Dopoguerra in Iraq: le sfide del sociale.

PETRILLO, Antonio
2009-01-01

Abstract

Di Iraq, oggi, si parla assai meno. L’agenda setting dei grandi media internazionali ha ormai mutato di rotta: l’escalation afghana, ma soprattutto la tremenda crisi economica che stringe in una morsa l’Occidente e la bruciante sensazione di fallimento (ossia di una mission tutt’altro che accomplished…) che accompagna ormai le sensazioni del pubblico sull’Iraq, soprattutto dopo le ultime elezioni, hanno condotto a un progressivo abbandono del tema. Dallo schermo scompare non solo la politica irachena con le sue contraddizioni: si offuscano progressivamente volti e paesaggi umani, quella società alle cui vicende e al cambiamento epocale che le attendeva, pure, i media di tutto il mondo ci avevano così lungamente appassionati. Cosa ne è dunque di quella società? Cosa ne è, oggi, di quel cambiamento? Larga parte dell’incomprensione occidentale del “mosaico Iraq” sembra fondarsi sull’assolutizzazione dell’elemento geopolitico da un lato e di quello culturale dall’altro: un paese dotato di “risorse strategiche ingentissime”, preda di un popolo animato da atavici risentimenti etnico-religiosi e/o tribali… Il saggio anticipa i contenuti di una ricerca condotta (in collaborazione con la ONG “Un ponte per…” nell’ambito di un finanziamento del Ministero degli Esteri italiano) dal gruppo URiT, coordinato dall’autore, poi pubblicati per esteso nel volume A. Petrillo (a cura di) Società civile in Iraq. Retoriche sullo scontro di civiltà: una ricerca sul campo (Mimesis, Milano 2011). L’indagine è stata condotta attraverso la somministrazione di questionari sul terreno e numerose interviste a testimoni privilegiati, protagonisti dell’associazionismo sindacale e di genere, delle organizzazioni studentesche e per i diritti umani. Malgrado gli ovvi limiti logistici (dovuti in gran parte all’essere costretti a operare all’interno di un territorio sostanzialmente ancora in stato di guerra, entro quadri locali politicamente instabili, con comunicazioni estremamente difficili e gravi rischi per la sicurezza personale) abbiano sicuramente condizionato il rigore metodologico del disegno di ricerca e in particolare la rappresentatività del campione e pur con tutta la cautela sicuramente necessaria in una ricerca a carattere esplorativo e non esplicativo, pur con tutti i limiti derivanti da dati non rappresentativi ma soltanto indicativi di possibili linee di tendenza, la ricerca costituisce quasi un unicum nel suo genere, sia a livello nazionale che a livello internazionale (sono in corso trattative editoriali per la sua traduzione in inglese). In una prospettiva di aperta contrapposizione allo schema “orientalista”, il pregio principale è quello di restituire un’immagine del tessuto associativo irakeno e di quello sociale più in generale del tutto diversa da quella, essenzializzata e semplificata, cui i media ci hanno largamente abituati, restituendo un volto concreto alla società locale, testandone i legami complessi con la cultura “globale” e con le dinamiche politiche proprie del dopoguerra e della resistenza all’occupazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12570/2478
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