Un nuovo modo di pensare l’archeologia: il tema è quello di delineare nuovi percorsi di ricerca attraverso metodi e strategie teoriche e pratiche di una professione, quella dell’archeologo, che deve oggi confrontarsi con la questione, non facile, di ciò che realmente significhi lavorare a un progetto nel campo delle scienze dell’antichità. Banco di prova e fil rouge di tale percorso le ricerche sull’isola di Vivara, luogo ottimale sia per il particolare sistema ambientale nel quale il sito archeologico insiste (caratterizzato da una forte interrelazione terra-mare) che per definire un nuovo modello di ricerca nel quale coniugare azioni di salvaguardia e fruizione di un patrimonio culturale nel golfo di Napoli. Tutto ciò ha permesso di riversare in un progetto archeologico (con molti aspetti dedicati all’applicazione di tecnologie innovative e alla sperimentazione di nuove forme di Bildung) quel nuovo modo di ‘pensare l’archeologia’ appreso nelle aule universitarie e praticato in diversi contesti spesso dai tratti assai problematici. Dal 1995, data della ripresa dei lavori nel comprensorio Procida-Vivara, l’isola è diventata oggetto di sperimentazione di ricerche di carattere innovativo. Il Progetto Vivara ha previsto nel corso degli anni, interventi e azione globale di valorizzazione finalizzata a una più ampia e diffusa conoscenza del patrimonio archeologico-culturale di una tra le più piccole isole “minori” del Mediterraneo (oggi Riserva Naturale Statale), caratterizzata dalla presenza di eccezionali testimonianze della civiltà dell’uomo in uno con gli aspetti più suggestivi della natura, che oggi più che mai è necessario tutelare. L’isola di Vivara, 3500 anni fa rappresentava, infatti, una meta delle più antiche navigazioni nel Mediterraneo occidentale e un esempio di comunità che fu certamente capace di sviluppare un linguaggio comune mediterraneo. Se le vicende antiche del Mediterraneo, sono state, nel passato, lungamente considerate sotto l’angolo visuale preminente della colonizzazione greca, gli studi attuali suggeriscono di guardare all’interfluire di scambi commerciali e culturali di tutti i popoli che furono i protagonisti della ‘civiltà mediterranea’. Già nel III millennio a.C. e ancor più durante il II millennio, stretti legami via mare univano l’Egeo alla Turchia e al delta del Nilo, la Grecia all’Italia meridionale e alle isole maltesi e siciliane. A cominciare dal XVI secolo a.C. i naviganti delle nascenti élites greco-micenee andarono creando una rete di collegamenti marittimi che arrivò a estendersi dalla Sardegna alle coste siro-palestinesi. L’area mediterranea rappresenta oggi la “frontiera” dell’Unione Europea verso i paesi dell’Asia e dell’Africa, l’Italia la possibile interfaccia per la creazione di legami e collaborazioni sempre più stretti fra l’Europa e le regioni extra-europee che si affacciano sul Mediterraneo. In tale prospettiva le discipline archeologiche rappresentano uno strumento imprescindibile per acquisire coscienza e conoscenza dell’unità culturale mediterranea. Uno degli esempi più evidenti di tale patrimonio comune è il modello alimentare utilizzato dalle popolazioni del bacino del Mediterraneo, che rappresenta ancora oggi una preziosa eredità storica e culturale. La koinè mediterranea risale molto indietro nel tempo e ha lasciato la propria traccia in numerosi e suggestivi monumenti spesso non compresi in questa prospettiva di antichissima ‘storia comune’. Le tecniche di navigazione, i dispositivi amministrativi, le tipologie insediamentali, i flussi di materie prime soggette a procedure di scambio sono ormai, grazie alle ricerche compiute in questi ultimi cinquant’anni, ben note agli specialisti. Questo patrimonio conoscitivo rimane, tuttavia, nella maggior parte dei casi, dominio degli studiosi in un ambito estremamente specialistico e solo raramente viene portato alla conoscenza di un pubblico più vasto. Il contributo degli studiosi del passato e del patrimonio culturale è oggi determinante per lo sviluppo equilibrato della società ed è necessario formulare nuovi progetti e stimolare nuovi indirizzi di ricerca volti a ricostruire la storia dei luoghi e degli uomini per riscoprire la ricchezza del diverso, dell’incontro con l’altro, alla luce di un métissage tipicamente mediterraneo.

Neverland. Metafora di un viaggio di ricerca nel Mediterraneo

PEPE, Carla
2014-01-01

Abstract

Un nuovo modo di pensare l’archeologia: il tema è quello di delineare nuovi percorsi di ricerca attraverso metodi e strategie teoriche e pratiche di una professione, quella dell’archeologo, che deve oggi confrontarsi con la questione, non facile, di ciò che realmente significhi lavorare a un progetto nel campo delle scienze dell’antichità. Banco di prova e fil rouge di tale percorso le ricerche sull’isola di Vivara, luogo ottimale sia per il particolare sistema ambientale nel quale il sito archeologico insiste (caratterizzato da una forte interrelazione terra-mare) che per definire un nuovo modello di ricerca nel quale coniugare azioni di salvaguardia e fruizione di un patrimonio culturale nel golfo di Napoli. Tutto ciò ha permesso di riversare in un progetto archeologico (con molti aspetti dedicati all’applicazione di tecnologie innovative e alla sperimentazione di nuove forme di Bildung) quel nuovo modo di ‘pensare l’archeologia’ appreso nelle aule universitarie e praticato in diversi contesti spesso dai tratti assai problematici. Dal 1995, data della ripresa dei lavori nel comprensorio Procida-Vivara, l’isola è diventata oggetto di sperimentazione di ricerche di carattere innovativo. Il Progetto Vivara ha previsto nel corso degli anni, interventi e azione globale di valorizzazione finalizzata a una più ampia e diffusa conoscenza del patrimonio archeologico-culturale di una tra le più piccole isole “minori” del Mediterraneo (oggi Riserva Naturale Statale), caratterizzata dalla presenza di eccezionali testimonianze della civiltà dell’uomo in uno con gli aspetti più suggestivi della natura, che oggi più che mai è necessario tutelare. L’isola di Vivara, 3500 anni fa rappresentava, infatti, una meta delle più antiche navigazioni nel Mediterraneo occidentale e un esempio di comunità che fu certamente capace di sviluppare un linguaggio comune mediterraneo. Se le vicende antiche del Mediterraneo, sono state, nel passato, lungamente considerate sotto l’angolo visuale preminente della colonizzazione greca, gli studi attuali suggeriscono di guardare all’interfluire di scambi commerciali e culturali di tutti i popoli che furono i protagonisti della ‘civiltà mediterranea’. Già nel III millennio a.C. e ancor più durante il II millennio, stretti legami via mare univano l’Egeo alla Turchia e al delta del Nilo, la Grecia all’Italia meridionale e alle isole maltesi e siciliane. A cominciare dal XVI secolo a.C. i naviganti delle nascenti élites greco-micenee andarono creando una rete di collegamenti marittimi che arrivò a estendersi dalla Sardegna alle coste siro-palestinesi. L’area mediterranea rappresenta oggi la “frontiera” dell’Unione Europea verso i paesi dell’Asia e dell’Africa, l’Italia la possibile interfaccia per la creazione di legami e collaborazioni sempre più stretti fra l’Europa e le regioni extra-europee che si affacciano sul Mediterraneo. In tale prospettiva le discipline archeologiche rappresentano uno strumento imprescindibile per acquisire coscienza e conoscenza dell’unità culturale mediterranea. Uno degli esempi più evidenti di tale patrimonio comune è il modello alimentare utilizzato dalle popolazioni del bacino del Mediterraneo, che rappresenta ancora oggi una preziosa eredità storica e culturale. La koinè mediterranea risale molto indietro nel tempo e ha lasciato la propria traccia in numerosi e suggestivi monumenti spesso non compresi in questa prospettiva di antichissima ‘storia comune’. Le tecniche di navigazione, i dispositivi amministrativi, le tipologie insediamentali, i flussi di materie prime soggette a procedure di scambio sono ormai, grazie alle ricerche compiute in questi ultimi cinquant’anni, ben note agli specialisti. Questo patrimonio conoscitivo rimane, tuttavia, nella maggior parte dei casi, dominio degli studiosi in un ambito estremamente specialistico e solo raramente viene portato alla conoscenza di un pubblico più vasto. Il contributo degli studiosi del passato e del patrimonio culturale è oggi determinante per lo sviluppo equilibrato della società ed è necessario formulare nuovi progetti e stimolare nuovi indirizzi di ricerca volti a ricostruire la storia dei luoghi e degli uomini per riscoprire la ricchezza del diverso, dell’incontro con l’altro, alla luce di un métissage tipicamente mediterraneo.
2014
978-1-4073-13269
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12570/3171
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
social impact