Nel contributo si ricostruisce il confronto della Simone Weil dei Cahiers e della tragedia Venezia salva con la tradizione del realismo politico. Con quella tradizione che assume i rapporti di forza come unico metro e unico limite dell’azione politica, il cui solo movente, per «necessità di natura» (hypo physeos anankaias), è la pulsione a pretendere più del dovuto (pleonexia): il dialogo dei Melii e degli Ateniesi (Tucidide, 5.85-113) e la sua ripresa puntuale da parte di Callicle in Platone, Gorgia, 483c8-d6. La Weil ricorre a un argomento platonico per mostrare l’intima contraddittorietà del concetto di pleonexia: il desiderio della totalità, il desiderio di riempire il ‘vuoto’ che separa il soggetto dalla pienezza (il pleon del composto pleonexia), si risolve in un’eterna costrizione a recuperare il mancato. È dunque un desiderio irrealizzabile. Adducendo la necessità della pleonexia come giustificazione della prevaricazione violenta sui Melii, gli Ateniesi difettano di «sentimento della realtà», immaginando di disporre di una forza, di un «potere» pari all’illimitatezza del proprio desiderio. Immaginazione, questa, che la prova dei fatti esporrà al fallimento, al rovesciamento, a quello che Weil chiama «jeu de bascule», contrapponendovi una nozione di virtù come «accettazione del vuoto» che ‘traduce’ la sophrosyne socratico-platonica, innestandola sulla tradizione mistica neoplatonica (Plotino) e renano-fiamminga (Eckhart). L’identificazione del potere con l’immaginazione diventa così la chiave dell’interpretazione weiliana del tragico antico (Sofocle, in particolare), di una possibile riproposizione del tragico nel Moderno (Venezia salva) e di un confronto con il Benjamin della Ursprung des deutschen Trauerspiels.
In Sleep a King. Sul potere che finisce
CARILLO, Gennaro
2009-01-01
Abstract
Nel contributo si ricostruisce il confronto della Simone Weil dei Cahiers e della tragedia Venezia salva con la tradizione del realismo politico. Con quella tradizione che assume i rapporti di forza come unico metro e unico limite dell’azione politica, il cui solo movente, per «necessità di natura» (hypo physeos anankaias), è la pulsione a pretendere più del dovuto (pleonexia): il dialogo dei Melii e degli Ateniesi (Tucidide, 5.85-113) e la sua ripresa puntuale da parte di Callicle in Platone, Gorgia, 483c8-d6. La Weil ricorre a un argomento platonico per mostrare l’intima contraddittorietà del concetto di pleonexia: il desiderio della totalità, il desiderio di riempire il ‘vuoto’ che separa il soggetto dalla pienezza (il pleon del composto pleonexia), si risolve in un’eterna costrizione a recuperare il mancato. È dunque un desiderio irrealizzabile. Adducendo la necessità della pleonexia come giustificazione della prevaricazione violenta sui Melii, gli Ateniesi difettano di «sentimento della realtà», immaginando di disporre di una forza, di un «potere» pari all’illimitatezza del proprio desiderio. Immaginazione, questa, che la prova dei fatti esporrà al fallimento, al rovesciamento, a quello che Weil chiama «jeu de bascule», contrapponendovi una nozione di virtù come «accettazione del vuoto» che ‘traduce’ la sophrosyne socratico-platonica, innestandola sulla tradizione mistica neoplatonica (Plotino) e renano-fiamminga (Eckhart). L’identificazione del potere con l’immaginazione diventa così la chiave dell’interpretazione weiliana del tragico antico (Sofocle, in particolare), di una possibile riproposizione del tragico nel Moderno (Venezia salva) e di un confronto con il Benjamin della Ursprung des deutschen Trauerspiels.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.