Si indaga l’uso del vocabolo “silenzio” principalmente nella produzione lirica seicentesca. Il silenzio come espressione di eros occupa un capitolo importante dell’uso del lemma nella produzione letteraria seicentesca non solo in forza della funzione a esso già riconosciuta dalla pneumatologia e dalla psicologia d’amore medievali, ma in virtú di quel ruolo che esso assume come condizione di un linguaggio non verbale capace di esibire l’interiorità dell’uomo, elemento su cui particolarmente si appunta l’attenzione del saggio. L’analisi si dipana dal capitolo V del III libro degli Essais di Montaigne che innesca un rapporto privilegiato tra sesso e silenzio tanto da ridefinire i parametri umanistico-rinascimentali del legame tra loquacità e sensualità da un lato e tra taciturnità e castità dall’altro. La linea aperta dal filosofo francese sembra trovare ampia corrispondenza nei lirici seicenteschi dei quali è offerta documentazione. Nell’Adone e ne La lira di Giambattista Marino, nelle Odi di Guido Casoni, ne Le rime di Tommaso Stigliani, nelle liriche di Cesare Rinaldi e di Gasparo Murtola il silenzio non funziona come indice d’illibatezza e di assenza di desiderio secondo una valenza che ricorre ampiamente nella tradizione cinquecentesca, ma l’assenza di parola è impiegata come espressione locutoria dell’amore, massima espressione delle percezioni sensoriali, tripudio delle sensazioni, condizione in cui si manifesta la sensualità dei corpi e il culmine del piacere amoroso, che insieme suggerisce l’ombra di Thanatos.
Il silenzio facondo del Seicento e le sue voci
BUFACCHI, EMANUELA
2012-01-01
Abstract
Si indaga l’uso del vocabolo “silenzio” principalmente nella produzione lirica seicentesca. Il silenzio come espressione di eros occupa un capitolo importante dell’uso del lemma nella produzione letteraria seicentesca non solo in forza della funzione a esso già riconosciuta dalla pneumatologia e dalla psicologia d’amore medievali, ma in virtú di quel ruolo che esso assume come condizione di un linguaggio non verbale capace di esibire l’interiorità dell’uomo, elemento su cui particolarmente si appunta l’attenzione del saggio. L’analisi si dipana dal capitolo V del III libro degli Essais di Montaigne che innesca un rapporto privilegiato tra sesso e silenzio tanto da ridefinire i parametri umanistico-rinascimentali del legame tra loquacità e sensualità da un lato e tra taciturnità e castità dall’altro. La linea aperta dal filosofo francese sembra trovare ampia corrispondenza nei lirici seicenteschi dei quali è offerta documentazione. Nell’Adone e ne La lira di Giambattista Marino, nelle Odi di Guido Casoni, ne Le rime di Tommaso Stigliani, nelle liriche di Cesare Rinaldi e di Gasparo Murtola il silenzio non funziona come indice d’illibatezza e di assenza di desiderio secondo una valenza che ricorre ampiamente nella tradizione cinquecentesca, ma l’assenza di parola è impiegata come espressione locutoria dell’amore, massima espressione delle percezioni sensoriali, tripudio delle sensazioni, condizione in cui si manifesta la sensualità dei corpi e il culmine del piacere amoroso, che insieme suggerisce l’ombra di Thanatos.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.