La «svolta» bio-logica, che ha attraversato le scienze umane nella seconda metà del Novecento e che ha assunto valore paradigmatico grazie al contributo epistemologico di Maturana e Varela (1980) e di Edgar Morin (1978), ha fatto risuonare nuovamente la categoria di creatura vivente con cui Dewey (1934) aveva fondato la sua proposta di una pedagogia attiva e recuperato di Bergson (1907), pur nell’ossimoro di una evoluzione creatrice, lo slancio del vivente e della sua durata, in divenire. E proprio quella «svolta» vitalista che ha toccato il pensiero pedagogico e la sua matrice trasformativa torna qui come quadro teorico cui riconduciamo quella necessità di coniugare l’educazione allo spazio e quindi anche allo spazio all’aperto, offrendo un valore epistemico e ontologico- esistenziale alla mobilità, all’azione, all’esperienza e quindi a ciò che accade e trasforma gli spazi in ambienti generativi (Carpenzano, D’Ambrosio, Latour, 2016). «L’educazione non è un’isola», dirà Jerome Bruner (1996) per fare proprio degli ambienti e dei contesti, il «naturale» sfondo in cui situare i processi formativi e dove collocare anche i saperi relativi a quel fare formante. Se da qualche tempo il fare formante e l’agire educativo hanno virato in maniera più esplicita verso una filosofia «green», non possiamo pensare sia una questione dettata dall’attualità dell’agenda politica orientata da una certa «emergenza» o sensibilità ambientale. Parlerei, piuttosto, di «bisogni educativi naturali» (Farné, Bortolotti, Terrusi, 2018) riconosciuti in un quadro pedagogico Capitolo 2 Spazi per formare giardini. Le pratiche di embodied education per innesti e ibridazioni eco-logiche 28 generale, da cui emerge la più recente categoria di «outdoor education » e l’alleanza dell’educazione con l’ambiente e con una postura eco-logica (Bateson, 1972 e 197
Spazi per formare giardini. Le pratiche di embodied education per innesti e ibridazioni eco-logiche
Maria D'Ambrosio
2024-01-01
Abstract
La «svolta» bio-logica, che ha attraversato le scienze umane nella seconda metà del Novecento e che ha assunto valore paradigmatico grazie al contributo epistemologico di Maturana e Varela (1980) e di Edgar Morin (1978), ha fatto risuonare nuovamente la categoria di creatura vivente con cui Dewey (1934) aveva fondato la sua proposta di una pedagogia attiva e recuperato di Bergson (1907), pur nell’ossimoro di una evoluzione creatrice, lo slancio del vivente e della sua durata, in divenire. E proprio quella «svolta» vitalista che ha toccato il pensiero pedagogico e la sua matrice trasformativa torna qui come quadro teorico cui riconduciamo quella necessità di coniugare l’educazione allo spazio e quindi anche allo spazio all’aperto, offrendo un valore epistemico e ontologico- esistenziale alla mobilità, all’azione, all’esperienza e quindi a ciò che accade e trasforma gli spazi in ambienti generativi (Carpenzano, D’Ambrosio, Latour, 2016). «L’educazione non è un’isola», dirà Jerome Bruner (1996) per fare proprio degli ambienti e dei contesti, il «naturale» sfondo in cui situare i processi formativi e dove collocare anche i saperi relativi a quel fare formante. Se da qualche tempo il fare formante e l’agire educativo hanno virato in maniera più esplicita verso una filosofia «green», non possiamo pensare sia una questione dettata dall’attualità dell’agenda politica orientata da una certa «emergenza» o sensibilità ambientale. Parlerei, piuttosto, di «bisogni educativi naturali» (Farné, Bortolotti, Terrusi, 2018) riconosciuti in un quadro pedagogico Capitolo 2 Spazi per formare giardini. Le pratiche di embodied education per innesti e ibridazioni eco-logiche 28 generale, da cui emerge la più recente categoria di «outdoor education » e l’alleanza dell’educazione con l’ambiente e con una postura eco-logica (Bateson, 1972 e 197I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.