Il complesso edilizio che ospita il Museo Archeologico Nazionale di Napoli subì nel corso del tempo numerose trasformazioni formali e funzionali, oggetto di analisi da parte di studiosi e viaggiatori, locali e forestieri, che soprattutto tra il XVII e il XIX secolo, impreziosirono i loro taccuini con resoconti e disegni. La struttura fu inserita in un ambiente complesso, in un’area extra moenia a settentrione del nucleo antico, ai piedi della collina di Capodimonte e a ridosso dell’antico largo delle Pigne. Tale spazio, privo di una particolare funzione, punto di raccolta delle acque meteoriche provenienti dalle colline, fu principalmente utilizzato dalla popolazione come passaggio dalla città antica all’attuale area della Sanità, spesso mediante l’ausilio di strutture come ponti in legno amovibili.Il luogo condizionò in parte l’edificazione del complesso, concepito in origine come “Cavallerizza”, successivamente destinato a sede dei Regi Studi ed infine scelto per custodire la collezione di opere d’arte della corona borbonica. La frequente pubblicazione di guide storiche della città di Napoli redatte da autori come Pompeo Sarnelli, Domenico Antonio Parrino, Giuseppe Sigismondo e Giuseppe Maria Galanti e l’influenza del fenomeno del Grand Tour nel corso del Settecento, contribuirono a porre una maggiore attenzione sulla storia e soprattutto sull’evoluzione architettonica degli ambienti dell’edificio, al centro dell’interesse dell’élite aristocratico borghese. Oltre alle fonti odeporiche il corpus iconografico, che ebbe come soggetto principale il palazzo, riscosse grande interesse sia dal punto di vista sociale, con la pubblicazione di stampe e incisioni, sia dal punto di vista tecnico e formativo, con la realizzazione di schizzi e disegni tecnici realizzati da studiosi e da architetti come il francese Prosper Barbot, in occasione del suo soggiorno napoletano all’inizio del XIX secolo.

Dal Palazzo dei Regi Studi (1616) al "Real Museo Borbonico" (1815): fra letteratura odeporica e iconografia

Matteo Borriello
2024-01-01

Abstract

Il complesso edilizio che ospita il Museo Archeologico Nazionale di Napoli subì nel corso del tempo numerose trasformazioni formali e funzionali, oggetto di analisi da parte di studiosi e viaggiatori, locali e forestieri, che soprattutto tra il XVII e il XIX secolo, impreziosirono i loro taccuini con resoconti e disegni. La struttura fu inserita in un ambiente complesso, in un’area extra moenia a settentrione del nucleo antico, ai piedi della collina di Capodimonte e a ridosso dell’antico largo delle Pigne. Tale spazio, privo di una particolare funzione, punto di raccolta delle acque meteoriche provenienti dalle colline, fu principalmente utilizzato dalla popolazione come passaggio dalla città antica all’attuale area della Sanità, spesso mediante l’ausilio di strutture come ponti in legno amovibili.Il luogo condizionò in parte l’edificazione del complesso, concepito in origine come “Cavallerizza”, successivamente destinato a sede dei Regi Studi ed infine scelto per custodire la collezione di opere d’arte della corona borbonica. La frequente pubblicazione di guide storiche della città di Napoli redatte da autori come Pompeo Sarnelli, Domenico Antonio Parrino, Giuseppe Sigismondo e Giuseppe Maria Galanti e l’influenza del fenomeno del Grand Tour nel corso del Settecento, contribuirono a porre una maggiore attenzione sulla storia e soprattutto sull’evoluzione architettonica degli ambienti dell’edificio, al centro dell’interesse dell’élite aristocratico borghese. Oltre alle fonti odeporiche il corpus iconografico, che ebbe come soggetto principale il palazzo, riscosse grande interesse sia dal punto di vista sociale, con la pubblicazione di stampe e incisioni, sia dal punto di vista tecnico e formativo, con la realizzazione di schizzi e disegni tecnici realizzati da studiosi e da architetti come il francese Prosper Barbot, in occasione del suo soggiorno napoletano all’inizio del XIX secolo.
2024
9791281389069
Architettura, Iconografia, letteratura odeporica, museo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12570/49293
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