Lo studio propone una ricostruzione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento in termini di eccessiva onerosità per il datore di lavoro della conservazione del rapporto. La tesi legittima per la prima volta il riferimento alla figura dell’eccessiva onerosità della prestazione nel diritto del lavoro, aprendo lo spazio per una valutazione sul piano normativo delle teorie di matrice economica, che individuano la giustificazione oggettiva del licenziamento nel superamento di una soglia di perdita, connessa alla prosecuzione del rapporto, considerata tollerabile dall’ordinamento. Nel volume, attraverso un’ampia analisi della giurisprudenza più recente, vengono spiegati e risolti sulla base del diritto positivo tutti i maggiori problemi relativi alla figura del giustificato motivo oggettivo. La ricostruzione consente altresì di attribuire un fondamento logico e normativo unitario a tutte le ipotesi riconducibili al giustificato motivo oggettivo, superando la distinzione tra fattispecie relative alla sfera datoriale e fattispecie relative alla persona del lavoratore, in base alla quale queste seconde seguirebbero una logica diversa e andrebbero ricondotte alla figura civilistica dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Attraverso la dimostrazione non solo dell’inutilità (cap. I), ma anche dell’incongruenza del riferimento all’impossibilità sopravvenuta – che presenta caratteristiche difformi da quelle proprie delle fattispecie rilevanti nel rapporto di lavoro (cap. II) – , lo studio dimostra come la figura civilistica di riferimento debba invece essere considerata l’eccessiva onerosità. Il riferimento all’eccessiva onerosità rende possibile spiegare ed offrire un solido fondamento di diritto positivo alle affermazioni della giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo (capp. III e IV, sez. I), ricomponendo così anche la frattura creatasi tra le soluzioni offerte dai giudici e le critiche di scarso rigore esegetico a queste venute dalla dottrina. In particolare, il riferimento all’eccessiva onerosità consente di spiegare il l’obbligo cd. di repêchage (cap. IV, sez. III), vale a dire il dovere del datore che intenda licenziare un prestatore di provare che non gli è possibile utilizzarlo in altre mansioni, in termini di riconduzione del contratto di lavoro ad equità, spiegando e meglio fondando l’accostamento che negli ultimi due anni anche la Cassazione ha iniziato a proporre con un non meglio definito “adeguamento contrattuale”. L’assegnazione a nuove mansioni per evitare il licenziamento può ben essere letta come applicazione dell’art. 1467, comma 3 c.c., secondo il quale “la parte contro la quale è domandata la risoluzione” [nella specie il lavoratore] “può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Questa norma consente anche di spiegare il fatto che la giurisprudenza pretenda l’allegazione da parte del lavoratore della possibilità dell’assegnazione a diverse mansioni e molti altri tratti della disciplina che la giurisprudenza ha costruito per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cap. III). L’adozione di questa prospettiva di analisi consente di spiegare le soluzioni offerte dall’evoluzione giurisprudenziale (cap. IV, sez. I), ed anche, ricomposta la frattura tra fattispecie relative alla sfera del datore ed a quella del lavoratore in armonia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione, di leggere la disciplina dei licenziamenti collettivi e la riserva in essa fatta alla sede sindacale per la discussione della giustificazione dei licenziamenti collettivi in termini omogenei alle altre ipotesi di licenziamento per motivi oggettivi, cioè come rinegoziazione degli assetti contrattuali (cap. IV, sez. II).

LA GIUSTIFICAZIONE OGGETTIVA DEL LICENZIAMENTO. Tra impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità

CALCATERRA, Luca
2009-01-01

Abstract

Lo studio propone una ricostruzione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento in termini di eccessiva onerosità per il datore di lavoro della conservazione del rapporto. La tesi legittima per la prima volta il riferimento alla figura dell’eccessiva onerosità della prestazione nel diritto del lavoro, aprendo lo spazio per una valutazione sul piano normativo delle teorie di matrice economica, che individuano la giustificazione oggettiva del licenziamento nel superamento di una soglia di perdita, connessa alla prosecuzione del rapporto, considerata tollerabile dall’ordinamento. Nel volume, attraverso un’ampia analisi della giurisprudenza più recente, vengono spiegati e risolti sulla base del diritto positivo tutti i maggiori problemi relativi alla figura del giustificato motivo oggettivo. La ricostruzione consente altresì di attribuire un fondamento logico e normativo unitario a tutte le ipotesi riconducibili al giustificato motivo oggettivo, superando la distinzione tra fattispecie relative alla sfera datoriale e fattispecie relative alla persona del lavoratore, in base alla quale queste seconde seguirebbero una logica diversa e andrebbero ricondotte alla figura civilistica dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Attraverso la dimostrazione non solo dell’inutilità (cap. I), ma anche dell’incongruenza del riferimento all’impossibilità sopravvenuta – che presenta caratteristiche difformi da quelle proprie delle fattispecie rilevanti nel rapporto di lavoro (cap. II) – , lo studio dimostra come la figura civilistica di riferimento debba invece essere considerata l’eccessiva onerosità. Il riferimento all’eccessiva onerosità rende possibile spiegare ed offrire un solido fondamento di diritto positivo alle affermazioni della giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo (capp. III e IV, sez. I), ricomponendo così anche la frattura creatasi tra le soluzioni offerte dai giudici e le critiche di scarso rigore esegetico a queste venute dalla dottrina. In particolare, il riferimento all’eccessiva onerosità consente di spiegare il l’obbligo cd. di repêchage (cap. IV, sez. III), vale a dire il dovere del datore che intenda licenziare un prestatore di provare che non gli è possibile utilizzarlo in altre mansioni, in termini di riconduzione del contratto di lavoro ad equità, spiegando e meglio fondando l’accostamento che negli ultimi due anni anche la Cassazione ha iniziato a proporre con un non meglio definito “adeguamento contrattuale”. L’assegnazione a nuove mansioni per evitare il licenziamento può ben essere letta come applicazione dell’art. 1467, comma 3 c.c., secondo il quale “la parte contro la quale è domandata la risoluzione” [nella specie il lavoratore] “può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Questa norma consente anche di spiegare il fatto che la giurisprudenza pretenda l’allegazione da parte del lavoratore della possibilità dell’assegnazione a diverse mansioni e molti altri tratti della disciplina che la giurisprudenza ha costruito per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cap. III). L’adozione di questa prospettiva di analisi consente di spiegare le soluzioni offerte dall’evoluzione giurisprudenziale (cap. IV, sez. I), ed anche, ricomposta la frattura tra fattispecie relative alla sfera del datore ed a quella del lavoratore in armonia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione, di leggere la disciplina dei licenziamenti collettivi e la riserva in essa fatta alla sede sindacale per la discussione della giustificazione dei licenziamenti collettivi in termini omogenei alle altre ipotesi di licenziamento per motivi oggettivi, cioè come rinegoziazione degli assetti contrattuali (cap. IV, sez. II).
2009
978-88-6342-030-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12570/5007
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