Il nome di Giuseppe Maranini oggi evoca innanzitutto la sua infaticabile lotta contro la “partitocrazia” (termine coniato non da lui, ma che egli per primo trasformò nella parola d’ordine di una ambiziosa campagna culturale e ideologica) nel secondo dopoguerra. Una lotta divenuta, decenni dopo la sua morte, sinonimo delle rivendicazioni, più o meno articolate, di una democrazia più funzionante contro vizi storici o “genetici” della politica italiana. Se, però, si guarda alla vicenda biografica e intellettuale di Maranini nella sua interezza, la sua contrapposizione democrazia/partitocrazia si rivela come l’approdo di un percorso lungo e tormentato, in cui via via si sommano e succedono influenze ideologiche diverse: la polemica antiparlamentarista di Minghetti e Mosca, il socialismo riformista, l’irredentismo di Cesare Battisti, il nazionalismo dannunziano, il liberalismo risorgimentale-nazionalista confluito nel fascismo, il costituzionalismo di derivazione anglosassone, la socialdemocrazia di Saragat, infine l’inquieto “quarto partito” del moderatismo laico nel periodo del centro-sinistra. Un motivo costante tiene insieme, però, la riflessione e l’azione di Maranini per tutta la sua vita: l’aspirazione a “ricostruire lo Stato”, a ritrovare attraverso l’organizzazione istituzionale i fattori dell’ordine sociale contro le spinte disgreganti e particolaristiche. Nasce da qui la costante ricerca di una forma costituzionale adeguata a riconoscere e stabilizzare il pluralismo sociale minimizzando gli elementi “eversivi”, oltre che ad assicurare l’efficacia di quello che egli riteneva il baricentro dello Stato moderno, la funzione di governo. Ne emerge una figura fortemente singolare, ma anche per molti versi emblematica di aspirazioni, suggestioni e traumi di larga parte del ceto intellettuale e della società italiana di fronte ai mutamenti della storia italiana del ventesimo secolo, dalla Grande Guerra al Sessantotto, e di fronte alle forme specifiche assunte nel paese dai processi di modernizzazione socio-economica e politico-istituzionale. Attraverso la vicenda di Maranini si comprende, parimenti, tutta la costitutiva ambivalenza di quella che sarà l’”ideologia” antipartitocratica: tensione verso l’adeguamento dell’Italia a modelli politici e sociali propri dei paesi industrializzati avanzati, ma spesso anche, contemporaneamente, nostalgia di una mitologizzata epoca dell’oro, di uno Stato rappresentativo organico e senza conflitti.

Il sogno di una costituzione. Giuseppe Maranini e l'Italia del Novecento

CAPOZZI, Eugenio
2008-01-01

Abstract

Il nome di Giuseppe Maranini oggi evoca innanzitutto la sua infaticabile lotta contro la “partitocrazia” (termine coniato non da lui, ma che egli per primo trasformò nella parola d’ordine di una ambiziosa campagna culturale e ideologica) nel secondo dopoguerra. Una lotta divenuta, decenni dopo la sua morte, sinonimo delle rivendicazioni, più o meno articolate, di una democrazia più funzionante contro vizi storici o “genetici” della politica italiana. Se, però, si guarda alla vicenda biografica e intellettuale di Maranini nella sua interezza, la sua contrapposizione democrazia/partitocrazia si rivela come l’approdo di un percorso lungo e tormentato, in cui via via si sommano e succedono influenze ideologiche diverse: la polemica antiparlamentarista di Minghetti e Mosca, il socialismo riformista, l’irredentismo di Cesare Battisti, il nazionalismo dannunziano, il liberalismo risorgimentale-nazionalista confluito nel fascismo, il costituzionalismo di derivazione anglosassone, la socialdemocrazia di Saragat, infine l’inquieto “quarto partito” del moderatismo laico nel periodo del centro-sinistra. Un motivo costante tiene insieme, però, la riflessione e l’azione di Maranini per tutta la sua vita: l’aspirazione a “ricostruire lo Stato”, a ritrovare attraverso l’organizzazione istituzionale i fattori dell’ordine sociale contro le spinte disgreganti e particolaristiche. Nasce da qui la costante ricerca di una forma costituzionale adeguata a riconoscere e stabilizzare il pluralismo sociale minimizzando gli elementi “eversivi”, oltre che ad assicurare l’efficacia di quello che egli riteneva il baricentro dello Stato moderno, la funzione di governo. Ne emerge una figura fortemente singolare, ma anche per molti versi emblematica di aspirazioni, suggestioni e traumi di larga parte del ceto intellettuale e della società italiana di fronte ai mutamenti della storia italiana del ventesimo secolo, dalla Grande Guerra al Sessantotto, e di fronte alle forme specifiche assunte nel paese dai processi di modernizzazione socio-economica e politico-istituzionale. Attraverso la vicenda di Maranini si comprende, parimenti, tutta la costitutiva ambivalenza di quella che sarà l’”ideologia” antipartitocratica: tensione verso l’adeguamento dell’Italia a modelli politici e sociali propri dei paesi industrializzati avanzati, ma spesso anche, contemporaneamente, nostalgia di una mitologizzata epoca dell’oro, di uno Stato rappresentativo organico e senza conflitti.
2008
978-88-15-12710-5
Italia; Costituzione; Partitocrazia
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