Con la definizione di biopotere si inaugura una riflessione politologica che ha trasformato il rapporto tra il potere ed il corpo: l’antico diritto di far morire e di lasciar vivere è diventato il diritto di far vivere e il diritto di lasciar morire. Su questo abbrivio il tema della surrogacy, della ‘generazione per altri’, o altrimenti detto, della ‘maternità surrogata’ trova il suo contesto di riferimento come oggetto di sapere e obiettivo della biopolitica. Il panorama legislativo dei paesi europei su questo tema è molto variegato. Emblematico è il caso dell’Inghilterra che è stato il primo paese a legalizzare la maternità surrogata, purché la donna sia pienamente consapevole di ciò a cui si è impegnata, e purché il bambino resti con la madre gestante nei primi mesi di vita. In Italia, dall’approvazione della legge 40 ad oggi, sono ben 4000 le coppie che vanno all’estero per poter realizzare quanto in Italia non è consentito, e in tutto il mondo si parla di una vera a propria industria. Sembra che l’utero in affitto costituisca un business che fattura tre miliardi di euro e che cresca del 20% l’anno, sfruttando tre aspetti importanti: la cultura del diritto alla genitorialità a qualunque costo, la povertà estrema in cui vivono ancora molte donne in molti paesi e, infine una tecnologia che desidera andare sempre oltre i confini naturali. Una delle riflessioni che emerge in modo immediato dal tema affrontato è quello della povertà, una povertà «multidimensionale», condizione perché tutta questa macchina possa reggersi e proliferare. Prima di tutto vi è una povertà biologica di una madre che non può avere figli e che è costretta a non poter appagare il suo desiderio di generatività; a questa si aggiungono una povertà economica, una povertà legislativa, una povertà culturale, una povertà genetica ed una povertà affettiva di una donna costretta a mettere alla luce un figlio che fa di tutto per dimenticare dal momento che quel figlio non le appartiene. Quello a cui si sta assistendo è una trasformazione culturale, «un capovolgimento sostanziale nelle categorie economiche della relazione madre-figlio.
Maternità surrogata: questione di biopolitica?
VILLANI N
2017-01-01
Abstract
Con la definizione di biopotere si inaugura una riflessione politologica che ha trasformato il rapporto tra il potere ed il corpo: l’antico diritto di far morire e di lasciar vivere è diventato il diritto di far vivere e il diritto di lasciar morire. Su questo abbrivio il tema della surrogacy, della ‘generazione per altri’, o altrimenti detto, della ‘maternità surrogata’ trova il suo contesto di riferimento come oggetto di sapere e obiettivo della biopolitica. Il panorama legislativo dei paesi europei su questo tema è molto variegato. Emblematico è il caso dell’Inghilterra che è stato il primo paese a legalizzare la maternità surrogata, purché la donna sia pienamente consapevole di ciò a cui si è impegnata, e purché il bambino resti con la madre gestante nei primi mesi di vita. In Italia, dall’approvazione della legge 40 ad oggi, sono ben 4000 le coppie che vanno all’estero per poter realizzare quanto in Italia non è consentito, e in tutto il mondo si parla di una vera a propria industria. Sembra che l’utero in affitto costituisca un business che fattura tre miliardi di euro e che cresca del 20% l’anno, sfruttando tre aspetti importanti: la cultura del diritto alla genitorialità a qualunque costo, la povertà estrema in cui vivono ancora molte donne in molti paesi e, infine una tecnologia che desidera andare sempre oltre i confini naturali. Una delle riflessioni che emerge in modo immediato dal tema affrontato è quello della povertà, una povertà «multidimensionale», condizione perché tutta questa macchina possa reggersi e proliferare. Prima di tutto vi è una povertà biologica di una madre che non può avere figli e che è costretta a non poter appagare il suo desiderio di generatività; a questa si aggiungono una povertà economica, una povertà legislativa, una povertà culturale, una povertà genetica ed una povertà affettiva di una donna costretta a mettere alla luce un figlio che fa di tutto per dimenticare dal momento che quel figlio non le appartiene. Quello a cui si sta assistendo è una trasformazione culturale, «un capovolgimento sostanziale nelle categorie economiche della relazione madre-figlio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.