Quando oggi si parla di censura in Rete non si pensa solo a quella pratica tipicamente autoritativa che un potere statuale effettua filtrando o eliminando l’accesso ai contenuti ma, come nel caso dei social o di Google, ci si riferisce anche ad una pratica tecnocratica algoritmica che agisce in modo pressoché automatico senza l’intervento umano. In realtà dietro questa seconda accezione non esiste un meccanismo automatico gestito dall’intelligenza artificiale. Esiste un esercito di censori, più o meno consapevoli del loro ruolo, che si occupano di stabilire ciò che dev’essere filtrato. Un controllo che i colossi della rete affidano a delle società dislocate nel medio oriente o nei paesi asiatici. La lezione di Eco che ci avverte del ruolo filtro della censura contemporanea ci impone di ritornare ad un’analisi delle forme censorie agli albori della modernità per recuperare gli elementi fondanti di un istituto che appare muoversi instabilmente tra l’autorità, la ribellione, l’omologazione, il dissenso, la politica e la morale. I social, sono l’estrinsecazione contemporanea dell’opinione pubblica secondo la definizione di contenuta nella Storia e critica dell’opinione pubblica (1962). Secondo Habermas, nelle società industriali avanzate il confine tra sfera pubblica e privata tende sempre più ad assottigliarsi, e l’opinione pubblica perde in misura crescente il suo valore democratico a causa della martellante influenza dei mezzi di comunicazione. Pubblico e privato si confondono, morale e politica di fondono, ogni atto pubblico diventa oggetto di un giudizio moralizzante che ne decreta la patente di legittimità. Ed è proprio sul meccanismo del giudicare, profondamente politico ed etico al tempo stesso che si fondano le interpretazioni medievali da cui intendiamo partire per questa ricostruzione parziale del dispositivo censorio.
Censura, ieri, oggi e domani
VILLANI N;
2017-01-01
Abstract
Quando oggi si parla di censura in Rete non si pensa solo a quella pratica tipicamente autoritativa che un potere statuale effettua filtrando o eliminando l’accesso ai contenuti ma, come nel caso dei social o di Google, ci si riferisce anche ad una pratica tecnocratica algoritmica che agisce in modo pressoché automatico senza l’intervento umano. In realtà dietro questa seconda accezione non esiste un meccanismo automatico gestito dall’intelligenza artificiale. Esiste un esercito di censori, più o meno consapevoli del loro ruolo, che si occupano di stabilire ciò che dev’essere filtrato. Un controllo che i colossi della rete affidano a delle società dislocate nel medio oriente o nei paesi asiatici. La lezione di Eco che ci avverte del ruolo filtro della censura contemporanea ci impone di ritornare ad un’analisi delle forme censorie agli albori della modernità per recuperare gli elementi fondanti di un istituto che appare muoversi instabilmente tra l’autorità, la ribellione, l’omologazione, il dissenso, la politica e la morale. I social, sono l’estrinsecazione contemporanea dell’opinione pubblica secondo la definizione di contenuta nella Storia e critica dell’opinione pubblica (1962). Secondo Habermas, nelle società industriali avanzate il confine tra sfera pubblica e privata tende sempre più ad assottigliarsi, e l’opinione pubblica perde in misura crescente il suo valore democratico a causa della martellante influenza dei mezzi di comunicazione. Pubblico e privato si confondono, morale e politica di fondono, ogni atto pubblico diventa oggetto di un giudizio moralizzante che ne decreta la patente di legittimità. Ed è proprio sul meccanismo del giudicare, profondamente politico ed etico al tempo stesso che si fondano le interpretazioni medievali da cui intendiamo partire per questa ricostruzione parziale del dispositivo censorio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.