I testi tradotti sono opere alle quali il lettore che non ha precisi scopi di ricerca accede a prescindere dai loro rapporti con i testi originali a partire dai quali essi sono stati prodotti (in molti casi senza alcuna consapevolezza e/o conoscenza di questi ultimi). Se, da una parte, questa è un’importante conquista per un ambito di studi che solo di recente ha raggiunto la sua indipendenza, dall’altra questo significa anche che quelle parti di testo che sono così radicate nella cultura di origine da non poter facilmente transitare nella cultura di accoglienza rimarranno per sempre nascoste al lettore che a quest’ultima appartiene. Questo saggio coniuga gli strumenti dell’analisi linguistica e quelli della riflessione traduttologica per dischiudere al lettore le porte di The Uncommon Reader di Alan Bennett e fornire almeno un assaggio di alcuni di quei punti del prototesto (e del tessuto culturale in cui esso è radicato) che non sono traducibili, muovendosi nella direzione della critica della traduzione. Il contributo ha, inoltre, una hidden agenda: l’autrice è infatti convinta che le osservazioni sul processo traduttivo in esame non potranno non innescare nel lettore, da una parte, una riflessione sulle competenze del traduttore, e dall’altra non suggerirgli la necessità di incoraggiare una maggiore collaborazione fra settori disciplinari che beneficerebbero in misura considerevole di una vicendevole integrazione quali la linguistica, la traduttologia, la didattica della traduzione e la didattica della lingua seconda e/o straniera. Dopo una breve analisi del testo di partenza, l’autrice presenta un dettagliato confronto fra i due testi per cercare di ricostruire il progetto della traduttrice e l’orizzonte della traduzione e dunque valutare il suo lavoro da un punto di vista sia linguistico che culturale.
La sovrana lettrice e The Uncommon Reader: un approccio critico al testo tradotto
DI MARTINO, Emilia
2010-01-01
Abstract
I testi tradotti sono opere alle quali il lettore che non ha precisi scopi di ricerca accede a prescindere dai loro rapporti con i testi originali a partire dai quali essi sono stati prodotti (in molti casi senza alcuna consapevolezza e/o conoscenza di questi ultimi). Se, da una parte, questa è un’importante conquista per un ambito di studi che solo di recente ha raggiunto la sua indipendenza, dall’altra questo significa anche che quelle parti di testo che sono così radicate nella cultura di origine da non poter facilmente transitare nella cultura di accoglienza rimarranno per sempre nascoste al lettore che a quest’ultima appartiene. Questo saggio coniuga gli strumenti dell’analisi linguistica e quelli della riflessione traduttologica per dischiudere al lettore le porte di The Uncommon Reader di Alan Bennett e fornire almeno un assaggio di alcuni di quei punti del prototesto (e del tessuto culturale in cui esso è radicato) che non sono traducibili, muovendosi nella direzione della critica della traduzione. Il contributo ha, inoltre, una hidden agenda: l’autrice è infatti convinta che le osservazioni sul processo traduttivo in esame non potranno non innescare nel lettore, da una parte, una riflessione sulle competenze del traduttore, e dall’altra non suggerirgli la necessità di incoraggiare una maggiore collaborazione fra settori disciplinari che beneficerebbero in misura considerevole di una vicendevole integrazione quali la linguistica, la traduttologia, la didattica della traduzione e la didattica della lingua seconda e/o straniera. Dopo una breve analisi del testo di partenza, l’autrice presenta un dettagliato confronto fra i due testi per cercare di ricostruire il progetto della traduttrice e l’orizzonte della traduzione e dunque valutare il suo lavoro da un punto di vista sia linguistico che culturale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.