Gli importanti affreschi tardo gotici di San Giovanni dei Pappacoda di Napoli furono purtroppo cancellati da un intervento di rifacimento degli spazi interni della cappella intorno al 1772. Bernardo De Dominici, attribuendoli ad Agnolo Franco, ebbe modo di descriverli in dettaglio, riferendo anche di un restauro operato dal Tesauro. Ancora prima Pietro Summonte ne aveva dato un cenno nella celebre lettera indirizzata a Marcantonio Michiel nel 1524, riferendoli a pittori “descendenti” da discepoli di Giotto. I restauri condotti nella cappella poco prima della metà del Novecento portarono alla luce alcuni frammenti rimasti fin qui del tutto ignoti alla critica. L’analisi dei pochi lacerti sopravvissuti sembra confortare l’ipotesi che il committente del sacello, Artuso Pappacoda, potesse essersi rivolto allo stesso pittore operante negli anni dieci del Quattrocento per la cappella Orilia in Santa Maria di Monteoliveto, identificato da tempo con il Maestro di Piedimonte Matese, una personalità di cultura marchigiana e in parte valenzana tra le più rilevanti attive a Napoli e in Campania in età angioino-durazzesca.

"La cappella (...) è tutta depinta per mano delli descendenti dalli discepoli di Iocto": quel che resta degli affreschi di San Giovanni dei Pappacoda

De Mieri, Stefano
2024-01-01

Abstract

Gli importanti affreschi tardo gotici di San Giovanni dei Pappacoda di Napoli furono purtroppo cancellati da un intervento di rifacimento degli spazi interni della cappella intorno al 1772. Bernardo De Dominici, attribuendoli ad Agnolo Franco, ebbe modo di descriverli in dettaglio, riferendo anche di un restauro operato dal Tesauro. Ancora prima Pietro Summonte ne aveva dato un cenno nella celebre lettera indirizzata a Marcantonio Michiel nel 1524, riferendoli a pittori “descendenti” da discepoli di Giotto. I restauri condotti nella cappella poco prima della metà del Novecento portarono alla luce alcuni frammenti rimasti fin qui del tutto ignoti alla critica. L’analisi dei pochi lacerti sopravvissuti sembra confortare l’ipotesi che il committente del sacello, Artuso Pappacoda, potesse essersi rivolto allo stesso pittore operante negli anni dieci del Quattrocento per la cappella Orilia in Santa Maria di Monteoliveto, identificato da tempo con il Maestro di Piedimonte Matese, una personalità di cultura marchigiana e in parte valenzana tra le più rilevanti attive a Napoli e in Campania in età angioino-durazzesca.
2024
Tardo Gotico; Napoli; Angiò-Durazzo; Pappacoda; Maestro di Piedimonte Matese; Antonio Baboccio da Piperno
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12570/43613
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