L’urna di Sant’Eustazio, descritta dalle fonti a partire dal ’500, è sfuggita ai furti che hanno interessato la chiesa napoletana di Santa Maria in Cosmedin negli ultimi decenni, ed è stata di recente rintracciata nella vicina Sant’Onofrio dei Vecchi. Il culto di sant’Eustazio venne rilanciato sul finire del ’500 da Giovan Simone Moccia, il quale provvide a far sistemare sulla parete absidale della chiesa un’ancona, purtroppo smembrata e in parte perduta, costituita da 4 pannelli laterali di Marco Cardisco e una più tarda tavola centrale della Madonna con il Bambino con teste ad altorilievo. La teca lapidea, invece, del tutto dimenticata dalla critica specialistica, può essere ragionevolmente datata intono alla metà del IX secolo, ed essere pertanto ritenuta del tempo in cui alcune chiese di Napoli accolsero i resti mortali di santi vescovi, in precedenza conservati nelle catacombe. Tale cronologia sembra confortata dalle tangenze stilistiche che vi si colgono con alcuni rari esempi di scultura lapidea di quel periodo, e in particolare con l’epigrafe del Duca Bono e i celebri plutei dell’oratorio di Sant’Aspreno, per i quali viene ribadita una datazione che non può oltrepassare il IX secolo.
La ritrovata urna lapidea del vescovo Sant'Eustazio già in Santa Maria in Cosmedin a Portanova
Stefano De Mieri
2024-01-01
Abstract
L’urna di Sant’Eustazio, descritta dalle fonti a partire dal ’500, è sfuggita ai furti che hanno interessato la chiesa napoletana di Santa Maria in Cosmedin negli ultimi decenni, ed è stata di recente rintracciata nella vicina Sant’Onofrio dei Vecchi. Il culto di sant’Eustazio venne rilanciato sul finire del ’500 da Giovan Simone Moccia, il quale provvide a far sistemare sulla parete absidale della chiesa un’ancona, purtroppo smembrata e in parte perduta, costituita da 4 pannelli laterali di Marco Cardisco e una più tarda tavola centrale della Madonna con il Bambino con teste ad altorilievo. La teca lapidea, invece, del tutto dimenticata dalla critica specialistica, può essere ragionevolmente datata intono alla metà del IX secolo, ed essere pertanto ritenuta del tempo in cui alcune chiese di Napoli accolsero i resti mortali di santi vescovi, in precedenza conservati nelle catacombe. Tale cronologia sembra confortata dalle tangenze stilistiche che vi si colgono con alcuni rari esempi di scultura lapidea di quel periodo, e in particolare con l’epigrafe del Duca Bono e i celebri plutei dell’oratorio di Sant’Aspreno, per i quali viene ribadita una datazione che non può oltrepassare il IX secolo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.